ECOTYPE
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L’uomo ed il suo “nuovo” ambiente
L’importanza degli ecosistemi urbani di oggi

Una premessa: cos’è “Ecotype”
“Ecotype” è un viaggio nell’affascinante mondo dell’ecologia. Uno sguardo dinamico, una lente di ingrandimento o semplicemente un modo differente di osservare la natura e l’ambiente che ci circonda.
L’ecotipo è un termine coniato quasi un secolo fa, nel 1922, dal botanico evoluzionista Turesson,[1] che identificò con questo unico termine l’enorme complessità che si cela dietro l'adattamento delle specie nei confronti dell’ambiente in cui vivono. In poche parole, un ecotipo rappresenta il risultato, in termini di biodiversità, delle interazioni tra l’ambiente ed una specie in un determinato luogo geografico.
Senza addentrarci troppo nella giungla delle definizioni scientifiche, per adesso basterà limitarsi al concetto principale, intrinseco di questo termine, ovvero che l’ambiente è uno dei massimi modellatori della diversità presente sul nostro pianeta, una diversità alcune volte facilmente osservabile, altre volte celata ai nostri occhi. Questo è il concetto principale, il vademecum, da tenere a mente mentre si leggeranno le pagine di questa rubrica.
L’uomo e la ricerca del suo habitat
Il miglior metodo da utilizzare per iniziare a parlare di ecologia è introdurre un esempio pratico, un qualcosa che siamo abituati a vedere tutti i giorni, in cui ci identifichiamo e su cui possiamo facilmente porci nuove domande e cercare nuove risposte. In questo articolo parleremo di un argomento che conosciamo molto bene e che ci sta a cuore: L’uomo e l’ambiente in cui vive.
L’uomo (Homo sapiens) è l’unica specie non a rischio estinzione, di cui si conosce quasi con esattezza il numero degli individui presenti sul pianeta. Attualmente si aggira intorno ai 7.87 miliardi, distribuiti in tutti i continenti ed in tutti i biomi della Terra. In altre parole, l’uomo è ovunque. La sorprendente capacità della nostra specie di adattarsi ad una varietà enorme di condizioni ambientali, può portare a pensare che l’uomo sia, in qualche modo, scollegato dalla natura. A primo impatto sembrerebbe quindi che l’uomo condizioni in maniera evidente l’ambiente che lo circonda, ma sembra anche non essere influenzato (in termini eco-biologici) da esso, a differenza di tutte le altre specie di animali, piante ed altri organismi che popolano il pianeta.
Ovviamente è una visione totalmente errata, ma in effetti non è facile prendere conoscenza immediata sul fatto che anche noi ci adattiamo e interagiamo con l’ambiente. Un chiaro esempio a conferma di ciò è la nostra esigenza nel ricercare costantemente un habitat adatto in cui vivere, un luogo sicuro che possiamo considerare come la nostra casa.
Ai giorni nostri, l’habitat ideale per la specie umana può essere identificato con le città o ciò che si definisce “ecosistema urbano”. Vediamo il perché.
Stime di crescita: popolazioni e città
Nel report The World’s Cities in 2018 redatto dall’ONU si stima che il 55.3 % della popolazione mondiale viva in insediamenti urbani e si prevede che entro il 2030 le aree urbane ospiteranno il 60% delle persone a livello globale.[2] Nel prossimo decennio una persona su tre vivrà in città con almeno mezzo milione di abitanti. In Europa, al giorno d’oggi, circa tre quarti dei cittadini vivono nelle aree urbane e si prevede che la popolazione urbana, e di conseguenza la percentuale di suolo occupato dalle città, continueranno ad aumentare tra il 2030 ed il 2050.[3]
Un altro dato interessante è quello che emerge dalle proiezioni del World Population Prospects 2019 dell’ONU:[4] Secondo le stime la popolazione umana, dopo decenni di crescita accelerata, si stabilizzerà alla fine del XXI secolo, rallentando la sua crescita.

Unendo queste due previsioni, affiora un quadro futuro in cui la nostra specie raggiungerà la soglia di crescita massima e la maggior parte delle persone vivrá in città sempre più grandi e popolose. Un chiaro esempio a conferma che le città stanno diventando sempre più il nostro habitat primario, la nostra casa.
La vita nelle metropoli: compromesso tra cemento e verde
La vita in una grande città è veloce, intensa e in gran parte tagliata fuori dalla natura. La città offre buone possibilità, al costo di una vita faticosa e stressante. Tuttavia, coloro che vivono nelle grandi città sono abituati a questo stile di vita e molti hanno difficoltà a adattarsi ad una piccola città o villaggio.[5] La qualità della vita della maggior parte della popolazione umana dipende dalla qualità dell’ambiente urbano.
All’interno dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, sottoscritta nel 2015 dai governi dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite e approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU, l’Obiettivo 11 è dedicato alla pianificazione e alla realizzazione di città ed insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili.[6] L’aspetto che contraddistingue i 17 SDGs (Sustainable Development Goals) elencati nell’Agenda è quello dell’interconnessione congiunta e bilanciata tra il benessere sociale e quello ambientale. Nell’obiettivo emerge infatti la necessità di pianificare nuovamente e riqualificare la struttura delle città in base alle necessità primarie dei cittadini e alla sostenibilità ambientale, mettendo al centro della questione l’urbanizzazione in crescita, lo sfruttamento delle risorse, l’impatto ambientale e la necessità di salvaguardare il patrimonio culturale e naturale. Questi obiettivi sono stati ulteriormente rafforzati in seguito all’emergenza Covid-19.[7]
L’espansione delle città, che sia con il modello orizzontale dello Urban Sprawl (Città diffusa) di Los Angeles o di quello verticale con i grattacieli di New York, presuppone un utilizzo massiccio del suolo, a discapito ovviamente degli ecosistemi e degli habitat che circondano le città stesse.
La natura nelle città: i servizi ecosistemici
Possiamo a questo punto porci una domanda:
L’uomo potrà veramente vivere in queste immense città, distaccandosi sempre più da tutto ciò che c’è al di fuori?
Ovviamente no. Dovremmo quindi intervenire subito nella gestione e nella progettazione delle nostre città, senza tralasciare ciò che incide in maniera significativamente positiva sul nostro benessere fisico e mentale, ovvero la natura.
Non possiamo immaginare le città del futuro senza verde urbano. Una buona gestione ambientale della città non può dunque trascurare il patrimonio naturale e soprattutto non può prescindere dalla sua natura di ecosistema, cioè di entità vivente, costituita di parti interdipendenti, di cui la città ha bisogno per assicurare ai suoi abitanti uno standard di vita salubre.
Direttamente o indirettamente, l’essere umano dipende dalla natura per il soddisfacimento di tutti i suoi bisogni. Non solo di quelli fisiologici di base, quali respirare, bere e mangiare, ma anche di quelli meno essenziali ma altrettanto vitali per la qualità della vita moderna, quali lo svago, il movimento fisico all’aria aperta, l’equilibrio psico-fisico.
Questi e molti altri sono i “servizi” che la natura ci offre attraverso processi bio-fisici che da millenni regolano gli equilibri della vita sulla terra, e di cui però ci accorgiamo poco spesso.[8]
Parchi, giardini, prati, corpi idrici, boschi ed altri elementi naturali assimilati dalle città, piccoli o grandi che siano, sono sistemi estremamente complessi in cui al loro interno si svolgono un numero enorme di interazioni tra esseri viventi. Molte di queste interazioni, se messe in relazione alla presenza dell’habitat umano, possono generare una quantità enorme di benefici nei nostri confronti. Questi benefici sono chiamati Servizi Ecosistemici. Vediamo nello specifico cosa e quali sono.

La teoria dei servizi ecosistemici (o ecosystem services) si è sviluppata negli ultimi decenni all’interno della corrente dell’economia ecologica e raccoglie i contributi di ecologi, sociologi ed economisti che hanno elaborato teorie e tecniche per l’analisi e la valutazione (anche economica) di molteplici beni e servizi forniti dagli ecosistemi naturali “gratuitamente” alla società.[9]
Un primo elenco dei servizi ecosistemici è stato elaborato dallo scienziato De Groot nel 1992 [10] e con il passare del tempo questo concetto è stato incluso in diversi progetti di ricerca e piani di azione ambientale internazionali, tra cui il Millennium Ecosystem Assessment [11] delle Nazioni Unite, avviato nel 2001 con l’obiettivo di valutare le conseguenze che i cambiamenti degli ecosistemi hanno apportato al benessere dell’umanità e le azioni necessarie a migliorarne la conservazione e l’utilizzo sostenibile. Il MEA nel 2005 ha fornito una classificazione utile suddividendo le funzioni ecosistemiche in 4 categorie principali:
- Supporto alla vita (Supporting): queste funzioni raccolgono tutti quei servizi che contribuiscono alla conservazione (in situ) della diversità biologica e genetica e dei processi evolutivi.
- Regolazione (Regulating): oltre al mantenimento della salute e del funzionamento degli ecosistemi, le funzioni regolative raccolgono molti altri servizi che comportano benefici diretti e indiretti per l’uomo, come la stabilizzazione del clima, i meccanismi di controllo biologico, la protezione da erosione del suolo, l’immagazzinamento e riciclo di sostanza organica, nutrienti e rifiuti umani, il mantenimento della fertilità del suolo e la fissazione dell’energia solare tramite la fotosintesi delle piante.
- Approvvigionamento (Provisioning): queste funzioni raccolgono tutti quei servizi di fornitura di risorse che gli ecosistemi naturali e semi-naturali producono (ossigeno, acqua, cibo, legname, utensili ecc.).
- Culturali (Cultural): queste funzioni contribuiscono all’arricchimento del rapporto uomo-natura e al mantenimento del benessere umano attraverso opportunità di osservazione-riflessione, arricchimento spirituale, sviluppo cognitivo, esperienze ricreative e attività scientifiche, spesso svolte dai cittadini stessi come nel caso della Citizen science.
All’interno di questi ecosistemi, le componenti vegetali e animali e le loro interazioni, sono i veri protagonisti e fautori dei servizi ecosistemici: la vegetazione ha effetti positivi sulla qualità dell’aria, in quanto determina la riduzione delle emissioni di C02, riduce la concentrazione di determinati inquinanti, altera il microclima urbano riducendo le temperature attraverso l’ombra prodotta ed i processi di evapotraspirazione, attenua i venti e riduce i consumi energetici degli edifici.[12]
Alcune specie animali adattate a vivere in contesti urbani posso offrire importanti servizi ecosistemici semplicemente attraverso le loro interazioni biologiche, come la predazione ed il biocontrollo di specie dannose all’uomo (Esempio: I pipistrelli che si nutrono delle zanzare). Il Rapporto TEEB (The Economics of Ecosystems and Biodiversity)[13] per le città suggerisce che i servizi ecosistemici potrebbero essere utilizzati come un prezioso strumento per garantire alle città di apportare cambiamenti positivi, risparmiando sui costi comunali, rafforzando la green economy locale, migliorando la qualità della vita e garantendo ulteriori mezzi di sussistenza.
La Natura nelle città: oasi di biodiversità
In tutti gli ecosistemi, così come nelle aree verdi urbane, i servizi ecosistemici sono strettamente collegati alla biodiversità. Gli spazi verdi urbani possono essere considerati come delle oasi di biodiversità che ospitano una flora ricca e variegata e possono offrire habitat idonei per numerose specie animali e vegetali. È chiaro quindi come le aree verdi urbane non contribuiscono solamente al miglioramento della vita dell’uomo, ma svolgono un ruolo fondamentale nella conservazione della biodiversità. La sopravvivenza di molte specie dipende infatti proprio dalla presenza di zone naturali, anche di piccole dimensioni, dove poter trovare le condizioni ecologiche necessarie alla loro vita.
Uno dei principali indicatori dello stato di salute degli ecosistemi è proprio la presenza di una elevata biodiversità, che offre al sistema naturale un’elevata resistenza e resilienza, ovvero le capacità di resistere e rigenerarsi in seguito al forte impatto esterno, spesso di origine antropica.
Un aspetto affascinante delle aree verdi urbane è la presenza di una biodiversità che spesso risulta essere ben delineata e ridondante: le specie che vivono meglio in questi contesti sono infatti quelle che riescono a adattarsi meglio alla presenza dell’uomo, e per questo definite specie sinantropiche. Non è un caso quindi che all’interno di un parco troviamo specie ricorrenti, come per esempio la cornacchia grigia (Corvus cornix) oppure l’erba parietaria (Parietaria officinalis) o molte altre specie comuni.
In tutti gli ecosistemi le specie interagiscono tra loro in vari modi. Queste relazioni che vanno ad instaurarsi possono essere di vario tipo (Predatorie, mutualistiche, parassitiche ecc.…) e sono alla base dei meccanismi di controllo ed equilibrio che l’ecosistema applica su sé stesso. È dunque di vitale importanza studiare e conoscere bene i meccanismi che regolano l’ecologia degli spazi verdi urbani, poiché sono sistemi molto ricchi e al tempo stesso estremamente fragili e variabili.
Un’azione errata, anche inconsapevole, dell’uomo potrebbe destabilizzare un ecosistema sano e funzionale, compromettendo al tempo stesso sia i servizi ecosistemici sia la biodiversità presente.
Le aree verdi urbane: isole o corridoi?
Un ultimo aspetto da affrontare è anche la struttura fisica e la distribuzione spaziale degli ecosistemi urbani. Prendiamo come esempio il famoso Central Park di Manhattan (New York City). Questa oasi verde si estende su una superficie di 3.41 km² (341 ettari), in una città di 783.8 km.²
Questa iconica infrastruttura verde fornisce una miriade di servizi ecosistemici alla città, come la possibilità di svolgere attività sportive, eventi culturali ed accentuare il benessere psico-fisico dei cittadini (piccola curiosità: il Bow Bridge di Central Park è considerato uno dei luoghi più romantici d’America ed uno dei più rappresentati cinematograficamente), senza considerare che Central Park rappresenta un vero e proprio polmone verde della città.

In un recente studio,[14] il valore economico, in termini di servizi ecosistemici, di Central Park è stato stimato intorno ai 25 miliardi di dollari all'anno, ovvero oltre 70 milioni di dollari per ettaro all'anno.
Nonostante ciò, la struttura del parco assomiglia brutalmente ad un enorme rettangolo verde, come un atollo in oceano di metallo e cemento.
Gli ecosistemi per essere vitali hanno la necessità di mantenersi collegati ad altri ecosistemi, grandi o piccoli che siano, attraverso quelli che si definiscono corridoi ecologici. Questi corridoi, rappresentati in maniera semplicistica da fasce di vegetazioni che mettono in collegamento due aree verdi, permettono alle specie di muoversi da un’area all’altra, garantendo quello che si definisce un flusso genico, ovvero lo scambio di geni da un individuo all’altro, di fondamentale importanza per potersi adattare all’ambiente e resistere ad eventuali mutamenti.

Ecosistemi urbani isolati difficilmente si mantengono vitali, proprio perché sono maggiormente suscettibili a cambiamenti, anche minimi. Nella progettazione delle città, ed in quella che viene definita la Gestione ecosistemica delle aree verdi urbane, è di fondamentale importanza prendere in considerazione questo aspetto e provvedere alla creazione di passaggi che mantengano comunicanti questi spazi verdi, creando quindi una Rete ecologica.
Aree verdi urbane come laboratori a cielo aperto
Come facciamo dunque a sapere se il parco di fronte casa nostra è un ecosistema sano e vitale?
Semplicemente vivendolo da vicino. Non occorre essere degli esperti biologi o ecologi per rendersi conto della quantità incredibile di specie che popolano i nostri giardini, di come esse interagiscono tra di loro ogni giorno e di come il sistema, nel complesso, sembri regolato da leggi non scritte ed ancora da scoprire. Chiara è dunque la funzione che le aree verdi urbane hanno come laboratori di ecologia applicata, dove tutti i cittadini, dal più piccolo al più grande, possono vivere e scoprire in maniera approfondita i vari segreti che la natura nasconde in sé.
In conclusione, possiamo affermare come il verde urbano sia una delle risorse più preziose che abbiamo a disposizione e che molto spesso viene sottovalutata. Nella nostra cultura, spesso consideriamo come un patrimonio naturale da salvaguardare solamente alcuni “ecosistemi simbolo”, come le foreste pluviali (la cui funzione è indubbiamente fondamentale per il pianeta), ma ci dimentichiamo di quanto siano importanti anche quei piccoli spazi verdi che permettono un netto miglioramento della nostra vita quotidiana e che dovremmo contribuire a proteggere di più, giorno dopo giorno.
[1] G Turesson ‘The genotypic response of the plant species to the habitat’ (1922) 3 Hereditas 211–350
https://doi.org/10.1111/j.1601-5223.1922.tb02734.x
[2] United Nations ‘The World’s Cities in 2018, Statistical Papers - United Nations (Ser. A), Population and Vital Statistics Report’(2019) The World’s Cities in 2018 https://doi.org/10.18356/c93f4dc6-en
[3] European Environmental Agency ‘Land and Soil in Europe:Why we need to use these vital and finite resources sustainably ’(2019) Luxembourg: Publications Office of the European Union https://www.eea.europa.eu/publications/eea-signals-2019-land/download
[4] -’World Population Prospects’ United Nations - Department of Economic and Social Affairs, Population Division (2019) https://population.un.org/wpp/Download/Archive/Standard/
[5] P Annoni e B D Weziak ‘A Measure to Target Antipoverty Policies in the European Union Regions’ (2016) 11 Applied Research in Quality of Life 181–207 https://doi.org/10.1007/s11482-014-9361-z
[6] United Nations Statistics Division Development Data and Outreach Branch ‘Agenda for Sustainable Development’ (2019) https://www.un.org/sustainabledevelopment/cities/
[7] United Nations ‘Transforming our World: The 2030 Agenda for Sustainable Development. United Nations’ (2015) https://sdgs.un.org/publications/transforming-our-world-2030-agenda-sustainable-development-17981
[8] A Chiesura ‘Gestione ecosistemica delle aree verdi urbane: Analisi e proposte’ (2009) ISPRA 51-52
[9] G Bingham, R Bishop, M Brody, D Bromley, E Clark, W Cooper, R Costanza, T Halec, G Haydeng, S Kellerth, R Norgaard,B Norton, J Payne, C Russell, G Suter ‘Issues in ecosystem valuation: improving information for decision making’ (1995) 14 Ecological Economics 73-90 https://doi.org/10.1016/0921-8009(95)00021-Z ;
R Costanza e altri ‘The value of the world's ecosystem services and natural capital’ (1997) 25 Nature 3-15 https://doi.org/10.1016/S0921-8009(98)00020-2;
H E Daly e J Farley ‘Ecological Economics: Principles and Applications’ (2004) Island Press
[10] H Jack Ruitenbeek ‘Functions of Nature: Evaluation of Nature in Environmental Planning, Management and Decision Making. Wolters-Noordhoff’ (1992) 14 Ecological Economics 211-213 https://doi.org/10.1016/0921-8009(95)90061-6
[11] --‘Millennium Ecosystem Assessment’ (2000)
https://www.millenniumassessment.org/documents/document.449.aspx.pdf
[12] J Farley e R Costanza ‘Payments for ecosystem services: From local to global’ (2010) 69 Ecological Economics 2060-2068 https://doi.org/10.1016/j.ecolecon.2010.06.010
[13] A Mader, S Patrickson, E Calcaterra e J Smit ‘Manual for Cities: Ecosystem Services in Urban Management’ The Economics of Ecosystems and Biodiversity (TEEB) (2011) 3-6 http://teebweb.org/publications/other/teeb-cities/
[14] P C Sutton e S Anderson ‘Holistic valuation of urban ecosystem services in New York City's Central
Park’ (2016) 19 Ecosystem Services 87-91.
Autore
Riccardo Casini
Pubblicato il 3 Dicembre 2021