SOCIOAMBIENTE
IL BLOG
L’economia circolare
In cosa consiste e perché è importante parlarne

Un primo sguardo
Ancora oggi, non esiste una definizione univoca e condivisa di Economia Circolare. Secondo il Parlamento Europeo è un modello di produzione e consumo che implica: condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento e riciclo di materiali e prodotti esistenti il più a lungo possibile.[1]
Tale enunciazione, per quanto estremamente sintetica e concisa, mette in luce diversi elementi costitutivi del concetto di Circular Industrial Economy (CIE). Teoricamente, una società circolare dovrebbe mirare a mantenere valore ed utilità (cioè quantità e qualità) degli stock[2] di beni industriali, siano essi infrastrutture, edifici, veicoli, macchinari oppure oggetti di consumo. Dunque, nello specifico, l’Economia Circolare Industriale si occupa di mantenere il controllo dell’intero ciclo di vita degli stock creati dall’uomo, per cercare di estenderlo il più possibile.[3]
A tal proposito, l’economista Walter Stahel individua due “domini” chiave della CIE. Il primo, denominato era “R”, si occupa della gestione dell’utilizzo degli stock di prodotti industriali e dei loro componenti, mantenendo inalterato il loro valore e la loro qualità il più a lungo possibile. Il risultato di un simile processo è l’estensione del ciclo di vita delle merci, attraverso pratiche come il riuso, la riparazione, il remanufacturing e l’upgrade tecnologico e stilistico. Il secondo dominio, definito dall’autore era “D” della Circular Industrial Economy, riguarda invece il mantenimento del valore e della qualità, intesa come “purezza”, degli stock di molecole e atomi utilizzati nella produzione industriale.[4]
L’integrazione dei due domini chiave, sebbene sia fortemente auspicabile dal punto di vista teorico, rappresenta una delle maggiori sfide per il funzionamento di una CIE “matura”. Questo perché le società occidentali sembrano essere ancora lontane dal radicale cambio di paradigma che imporrebbe il passaggio ad un’economia circolare, sia dal punto di vista sociale che istituzionale e politico.
La cosiddetta era “D” rappresenta un campo di ricerca ingegneristica per molti aspetti ancora inesplorato. Da una parte, ciò potrebbe essere uno stimolo per l’elaborazione di processi ed invenzioni volti al recupero delle molecole e degli atomi già utilizzati nella produzione, al fine di riconvertirli in risorse “vergini”. D’altra parte, tuttavia, gli ampi margini di scoperta potrebbero essere messi in secondo piano da decisori politici che non intendono affrontare gli investimenti necessari nella ricerca ingegneristica sul tema.

Circular Industrial Economy e Linear Industrial Economy a confronto
L’equilibrio tra la sfera ambientale e la sfera economica ha iniziato a compromettersi dopo l’introduzione, a seguito dell’industrializzazione, di un modello di crescita economica incentrato sul consumo quantitativo di beni.[5] Una simile impostazione comporta che la sfera economica pesi sempre di più su quella ambientale, sfruttando le risorse naturali, alterando il clima e minacciando gli ecosistemi.[6] Queste conseguenze sono alla base delle cosiddette “esternalità negative”,[7] che rappresentano in economia uno dei sei “fallimenti del mercato”, cioè situazioni in cui il mercato non è efficiente.[8] È chiaro dunque che, anche dal punto di vista economico, un cambio di direzione è quantomeno auspicabile.
Il modello economico “lineare” è ancora oggi alla base dell’economia e funziona secondo lo schema estrarre – produrre – utilizzare – gettare, misurando il proprio successo in termini di flussi monetari. In sostanza, la Linear Industrial Economy (LIE) sfrutta risorse “vergini” per produrre materie prime, che a loro volta vengono utilizzate per produrre beni. Successivamente, al Punto vendita (Point of Sale) le merci sono vendute a singoli clienti e soggetti economici.[9]
Da qui parte una delle principali differenze tra LIE e CIE. Se i processi della LIE terminano al Point of Sale (PoS),[10]dove la proprietà e la responsabilità legale vengono trasferite all’acquirente, la CE vi inizia.[11] In un’economia circolare, gli esseri umani dovrebbero mantenere il controllo sull’intero ciclo di vita degli oggetti che creano, dal momento che essi sono quasi sempre fuori dalle leggi circolari della natura. Come specificato da Stahel: “Il genere umano ha l’obbligo morale di gestire quei prodotti industriali che la natura non può decomporre, e deve farlo nel suo interesse”[12].
Gli obiettivi della CIE, dunque, differiscono da quelli della LIE dal momento che: mira a mantenere il valore, non a creare valore aggiunto; punta ad ottimizzare la gestione degli stock, non dei flussi; è volta all’incremento dell’efficienza nell’utilizzo dei beni, non nella loro produzione.[13] Perciò, anche il modo in cui viene misurata la ricchezza cambia: nella CIE la crescita è data da un aumento della qualità e della quantità degli stock, non dall’aumento della produzione.
È comunque da sottolineare che, da un punto di vista teorico, la LIE potrebbe essere complementare alla CIE, in quanto aggiorna gli stock esistenti introducendo materiali e componenti innovativi, e sostituisce gli stock obsoleti o che sono stati danneggiati o distrutti.[14] La sfida di questo secolo, dunque, sembra essere quella di trovare il modo con cui far dialogare virtuosamente i due modelli, che adesso sembrano infinitamente distanti.

I vantaggi della CE
La produzione di volumi sempre maggiori di materiali sintetici e nuove combinazioni di materiali stanno aumentando i costi della gestione dei rifiuti, che spesso vengono sostenuti dalla società nel suo complesso, facendo sì che i produttori non abbiano alcun incentivo economico a tenerli sotto controllo. Per questo, il primo vantaggio riconosciuto alla CE è quello della prevenzione dei rifiuti come parte del processo di ottimizzazione dell’uso degli oggetti, quando la gestione dei rifiuti costituisce la fase finale del modello LIE.[15]
Negli ultimi anni, anche la Commissione europea ha riconosciuto l’importanza dei vantaggi dell’economia circolare. Nella comunicazione Verso un’economia circolare: programma per un’Europa a zero rifiuti,[16] la Commissione si proponeva di mantenere il valore delle risorse utilizzate nella produzione di un bene riportandole nel ciclo produttivo al termine dell’utilizzo del bene stesso, creando nello stesso tempo nuovi posti di lavoro e incentivando innovativi modelli di mercato. Questo perché la CE, nell’era R, sostituisce l’energia con la manodopera e le fabbriche centralizzate con i laboratori locali (artigiani, fai da te e Repair cafè), favorendo di conseguenza la creazione di occupazione locale e processi di reindustrializzazione su scala regionale.[17]
Inizialmente, le direttive europee sembravano muoversi prevalentemente verso l’obiettivo di aiutare le imprese e i consumatori a effettuare la transizione verso un’economia (circolare) in cui le risorse potessero essere utilizzate/riutilizzate in modo più sostenibile attraverso un maggior ricorso al riciclaggio e al riutilizzo, concentrandosi dunque sull’incentivazione della diminuzione di rifiuti. Tuttavia, più recentemente si è iniziato a prestare attenzione anche ad un altro vantaggio fondamentale legato alla possibile transizione verso il modello CIE: la riduzione delle emissioni.
A tal proposito, la Commissione europea identifica l’economia circolare come una delle scelte strategiche più auspicabili, in quanto permetterebbe la riduzione delle emissioni di CO2, abbassando al contempo le percentuali globali di estrazione di materie prime, ormai sempre più scarse.[18]”
Wijkman e Skanberg, in uno studio del 2016, hanno calcolato l’impatto macroeconomico di una CIE matura in diversi paesi europei. Secondo la loro analisi, [19] Anche nel Piano d’Azione per l’Economia Circolare,[20] la Commissione europea ha posto l’attenzione sulla circolarità come prerequisito per la neutralità climatica.
In sostanza, i vantaggi stimati di un passaggio dei paesi industrializzati a un’economia circolare che ottimizza l’uso degli oggetti sono una riduzione di circa i 2/3 delle emissioni di CO2, la creazione di occupazione locale, un minor carico ambientale una riduzione dei costi sostenuti dai comuni per la gestione dei rifiuti.[21] Per questo, la CE viene considerata una sottocategoria della green economy[22].
Riflessioni conclusive
È chiaro, a questo punto, come la CIE sia strettamente connessa al più generale concetto di “sostenibilità”, tanto che entrambe potrebbero essere considerate due facce della stessa medaglia. [23]
Tuttavia, dal punto di vista degli organismi sovranazionali (primo fra tutti l’UE), sembra che venga data molta più importanza al problema della gestione dei rifiuti, con iniziative quali il “Diritto alla riparazione” o gli incentivi alla compravendita di scarti industriali e rifiuti per il loro riutilizzo/riciclaggio. Eppure, alcuni autori notano che il rischio di incentivare il commercio dei rifiuti, senza porre limiti temporali per il loro trattamento, finisce con il giustificare politiche volte ad un consumo “usa e getta” che trovano nella soluzione del riciclaggio l’opportunità di un aumento della velocità di produzione e consumo.[24]
Inoltre, tra le varie suggestioni che fornisce Stahel, emerge che per creare una CIE occorre fare tre cose: “Spingere gli individui a desiderare la felicità oltre la proprietà; convincere i proprietari-utilizzatori di bene e i soggetti economici che possiedono e gestiscono oggetti ad occuparsi dei loro stock di oggetti e materiali; indurre i politici ad elaborare un quadro normativo ed economico che […] promuova l’economia circolare e altre soluzioni sostenibili. [25]
Riguardo il primo punto, sembra essere ancora parzialmente inesplorato il tema dell’impatto sociale che potrebbe avere un cambio di paradigma come quello che ci si propone con l’adozione di un modello CE. Si tratterebbe di ridurre al minimo la proprietà degli oggetti, per esempio dando più importanza all’acquisto di “servizi” (es. affitto di oggetti, leasing ecc.), in cui tra le altre cose la proprietà dell’oggetto resta al produttore. La domanda, a questo punto, è: la società è pronta ad un simile cambio di rotta? Siamo pronti a rinunciare a tutte quelle pratiche di consumo che abbiamo così ben interiorizzato? La questione, forse più importante, in parte presagita da Stahel diventa quella dell’accettazione sociale dei cambiamenti che l’applicazione di una CE “pura” comporterebbe.
“Se vogliamo riuscire a costruire una società sostenibile nei paesi industrializzati, il compito principale è creare un desiderio di circolarità, di un’economia circolare industriale, per esempio motivando le persone che oggi sono dipendenti dallo shopping a diventare dipendenti dal riuso e dalla riparazione per i beni che possiedono, e buoni amministratori di oggetti che affittano o condividono con altri”.[26]
[1] D Bourguignon ‘Closing the loop New circular economy package’ (2016) European Parliamentary Research Service 2 https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/BRIE/2016/573899/EPRS_BRI%282016%29573899_EN.pdf; - ‘ Economia circolare: definizione, importanza e vantaggi’ Parlamento Europeo Website (2 Dicembre 2015) https://www.europarl.europa.eu/news/it/headlines/economy/20151201STO05603/economia-circolare-definizione-importanza-e-vantaggi (ultimo accesso 16 Febbraio 2021)
[2] Con il termine “stock” si intende una quantità di materia prima, merce o prodotto, specie come giacenza o scorta disponibile per la vendita, oppure immagazzinata in attesa di ulteriori trasformazioni o trattamenti.
[3] W. Stahel Economia circolare per tutti. Concetti base per cittadini politici e imprese (1edn Edizioni Ambiente 2019) vol 1, 139
[4] Ibid.
[5] S Giorgi, M Lavagna, A Campioli ‘Economia circolare, gestione dei rifiuti e life cycle thinking: fondamenti, interpretazioni e analisi dello stato dell’arte’ (2017) 4 Ingegneria dell’Ambiente 263-276
[6] Ibid.
[7] Si tratta di casi in cui le azioni di un soggetto (individuo o impresa) impongono un costo ad altri. Un esempio paradigmatico è l’inquinamento. Vedi in: J. Stiglitz Economia del settore pubblico. Fondamenti teorici (3edn Ulrico Hoepli Editore 2003) vol 1, 442
[8] Con il termine “efficienza” ci si riferisce al criterio di “efficienza paretiana”: un sistema economico è efficiente quando non è possibile modificare una data allocazione delle risorse tra gli individui in modo tale da migliorare la situazione di qualcuno senza peggiorare allo stesso tempo quella di qualcun altro. Vedi in: Stiglitz (2003)
[9] Stahel (2019)
[10] Punto vendita.
[11] Stahel (2019)
[12] Ibid 17
[13] Ibid.
[14] Ibid.
[15] Ibid.
[16] Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo al Consiglio al Comitato Economico e Sociale e al Comitato delle Regioni Verso un’economia circolare: programma per un’Europa a zero rifiuti (2014) Direzione generale dell’Ambiente COM(2014) 398
[17] Stahel (2019)
[18] Comunicazione della Commissione Un pianeta pulito per tutti. Visione strategica europea a lungo termine per un’economia prospera, moderna, competitiva e climaticamente neutra (2018) COM(2018) 773 final
[19] A. Wijkman e K. Skanberg ‘The circular economy and benefits for society. Jobs and climate clear winners in an economy based on renewable energy and resource efficiency’ (2016) Club of Rome https://www.clubofrome.org/publication/the-circular-economy-and-benefits-for-society/
[20] Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale e al Comitato delle Regioni Un nuovo piano d’azione per l’economia circolare. Per un’Europa più pulita e competitiva, COM(2020) 98 final
[21] Stahel (2019)
[22] Giorgi, Lavagna e Campioli (2017)
[23] Stahel (2019)
[24] Giorgi, Lavagna e Campioli (2017)
[25] Stahel (2019) 15
[26] Stahel (2019) 130
Autore
Luca Torchia
Pubblicato il 26 Novembre 2021