Cosa dobbiamo aspettarci dopo la COP26?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Cosa dobbiamo aspettarci dopo la COP26?

Un'analisi "a freddo", cercando di individuare pro e contro dell'ultimo meeting sul clima

La direttrice operativa del Fondo Monetario Internazionale, Kristalina Georgieva, partecipa all'evento “Financing our Future” in veste di Presidente alla COP26 di Glasgow. Licensed by IMF Photo, foto di Crispin Rodwell, fonte: Flickr

L'attesissima 26ª Conferenza delle Parti della Conferenza Quadro sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite (UNFCC) di Glasgow è stata scandita da numerosi eventi di tensione sia dentro che fuori lo Scottish Event Campus, presso il quale si sono riuniti i rappresentanti di oltre 197 paesi. Le complicazioni interne sono state dovute, innanzitutto, alla mancanza di alcuni tra gli attori internazionali più influenti. In particolar modo, a catturare l'attenzione è stata l'assenza di Xi Jinping, presidente della Repubblica Popolare cinese (il paese più inquinante, in termini di gas serra, sul pianeta). Questi si è limitato ad inviare a Glasgow un messaggio scritto nel quale consigliava alcune linee guida, sottolineando in particolare la necessità di una trasformazione verde con l'aiuto della tecnologia che i paesi sviluppati dovranno fornire a quelli più fragili. [1] Oltre a questa grave assenza, il meeting si è caratterizzato per una lunga fase di stallo che ha suscitato l'imbarazzo degli stessi delegati, i quali hanno raggiunto un compromesso con oltre 24 ore di ritardo (pratica che però è diventata quasi la prassi, e che dalle primissime COP caratterizza questi incontri). Quello che risulta chiaro è che si sono fatti passi in avanti in maniera altalenante e volontaria: sono infatti stati siglati numerosi patti e impegni multilaterali vincolanti, che coinvolgono però solo determinati paesi. È mancata, come sottolineato dallo stesso António Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, «una visione d'insieme».[2]

Se questo idem sentire non è ancora evidente, lo sono invece tutti gli effetti le conseguenze del cambiamento climatico. In questo nuovo approfondimento andremo ad analizzare cosa si è deciso durante la conferenza, con particolare riferimento al Glasgow Climate Pact, alle Decisioni Finali (adottate ben oltre il "gong finale") e i nuovi accordi multilaterali siglati dei singoli Stati ma soprattutto, a tre mesi di distanza, cercheremo di capire se effettivamente l'Accordo di Parigi ne è uscito rafforzato o indebolito.

 

Il Glasgow Climate Pact

Al termine del summit, e dopo ben tre bozze, è stato quindi raggiunto il Glasgow Climate Pact, un accordo firmato da tutti 197 paesi contenente una serie di impegni e strategie condivise per contrastare il riscaldamento globale e accelerare l'azione sul clima entro il 2030. Innanzitutto, almeno sulla carta, tutte le nazioni hanno concordato sull'obiettivo di contenere l'aumento delle temperature medie entro +1,5°C rispetto ai livelli preindustriali.[3] Questa scelta fa riflettere su come l'interpretazione del primo comma dell'Articolo 2 dell'accordo di Parigi sia cambiata definitivamente. Questo infatti richiedeva di «contenere l'aumento della temperatura media globale ben al di sotto di 2°C in riferimento ai livelli preindustriali, cercando di mantenerlo entro 1,5°C».[4]. Il riferimento ai 2°C è quindi stato definitivamente superato, a conferma di come la comunità internazionale abbia recepito le richieste dell'Intergovernamental Panel on Climate Changes (IPCC). è il chiaro segnale che le politiche climatiche messe in atto dai diversi paesi nei propri Nationally Determined Contributions (NDC)  dovranno essere aggiornate rinforzate. A questo proposito, il Rapporto speciale sul Riscaldamento globale alla 48° sessione dell'IPCC tenuta a Incheon, come parte del Sesto rapporto di valutazione dell'IPCC, aveva sottolineato come vi fosse una enorme differenza fra queste due cifre, e come quel semplice mezzo grado possa avere un impatto devastante sugli ecosistemi.[5] Gli impegni presi sinora garantirebbero un aumento delle temperature medie globali di poco sotto i 2,4°C: una tale eventualità porterebbe all'incremento di eventi metereologici estremi, come alluvioni o eccessive ondate di caldo, sino a preoccupanti processi climatico ambientali, come la desertificazione del suolo e lo scioglimento dei ghiacciai artici. Tutte le parti sono state quindi invitate ad «accelerare lo sviluppo, il dispiegamento e la diffusione di tecnologie per la transizione verso sistemi di energia a basse emissioni [...] verso la graduale riduzione dell'energia da carbone e l'eliminazione graduale dei sussidi in efficienti e combustibili fossili, fornendo allo stesso tempo sostegno mirato ai più poveri e vulnerabili, in linea con le circostanze nazionali e riconoscendo la necessità di sostegno verso una giusta transizione».[6] Se sotto il profilo della mitigazione si è individuato un obiettivo chiaro e più rigido, così è stato (almeno inizialmente) anche per la decarbonizzazione, un goal "annacquato" da alcuni attori. Nella prima bozza si diceva infatti che l'accordo avrebbe mirato a eliminare gradualmente l'uso del carbone e i finanziamenti per i combustibili fossili, mentre il testo finale si legge solo di «ridurre l'utilizzo del carbone». La phase down è andata quindi a rimpiazzare la phase out, un termine più blando e meno rigido introdotto dopo un negoziato tra USA, Cina, India, UE e la Presidenza Britannica della COP26, già usato per altro nell'accordo di alcuni giorni prima fra Cina e Stati Uniti sull'azione climatica.[7]

Siamo di fronte quindi ad un impegno privo di dettagli tecnici ma che tuttavia dimostra un timido riconoscimento da parte della Cina della crisi climatica in atto, oltre che il prima, e sinora unico, riferimento alla decarbonizzazione nella storia della Conferenza Quadro sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite. Tutti i paesi dovranno rivedere i propri NDC ogni anno anziché ogni cinque, rispettando l'insieme delle modalità per il reporting delle emissioni di gas serra ed il monitoraggio degli impegni assunti.[8] I paesi presenti hanno infine sottoscritto l'obiettivo minimo di decarbonizzazione al 2030 del 45% non rispetto ai livelli preindustriali, come si è spesso letto, ma in riferimento all'anno 2010. In particolare, questo è un dettaglio che fa riflettere: l'Accordo di Parigi (all'Articolo 2) si limitava a riportare l'ormai obsoleta formula di "livelli preindustriali" come baseline emissiva da cui partivano gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra.[9] Tale formula, che già compariva nel precedente protocollo di Kyoto, si è sempre riferita al 1990 come base su cui "modellare" l'azione globale contro i cambiamenti climatici. Considerato che tra il 1990 e il 2010 le emissioni di CO2 a livello globale sono aumentate del 45% (arrivando a toccare il massimo storico di 33 miliardi di tonnellate proprio nel 2010) risulta chiaro come la ridefinizione di questo parametro fosse quantomeno necessaria.[10] 

Un manifestante di Extinction Rebellion ironizza sulla scelta del 2050 come data per il “net zero carb” a Victoria Street, Londra. Licensed by Public Domain Dedication, Foto di Garry Knight, fonte: Linkedin

Gli accordi multilaterali-settoriali

In generale, la conferenza è stata scandita da numerosi momenti di stallo, durante i quali però alcuni attori si sono distinti per l'intraprendenza e la loro capacità di coinvolgimento: grazie a ciò sono stati raggiunti anche diversi agreement multilaterali di tipo settoriale. Questi accordi, firmati tra vari gruppi di paesi, riguardano aspetti specifici della lotta la crisi climatica e, in molti casi, coinvolgono in maniera diversa gli attori che vi prendono parte. Uno "spacchettamento" che risponde in maniera sin troppo puntuale all'interpretazione libera del principio di responsabilità comune ma differenziata e delle rispettive capacità su cui si fonda l'Accordo di Parigi, che di fronte all'inerzia di alcuni attori si è rivelato l'unico mezzo per non trasformare la COP26 in un sonoro flop. Tra gli accordi multilaterali sottoscritti più interessanti vi è senza dubbio la Beyond Oil and Gas Alliance (BOGA): questa coinvolge come Core members Costarica, Danimarca, inghilterra, Irlanda, Galles, Svezia e le regioni del Québec (Canada) e della Groenlandia (Danimarca). Vi sono poi Nuova Zelanda, Portogallo e California come Associate Members e l'Italia come Friend of BOGA. Vediamo nel dettaglio le differenze tra questi tre sottogruppi:[11]

  1. i Core Members hanno preso un impegno rigido, ponendo fine a nuove concessioni, licenze e finanziamenti per la produzione e l'esplorazione di petrolio e gas, puntando a concordare una data comune per terminare qualsiasi attività correlata al loro sfruttamento.
  2. Il gruppo degli Associate Members punta invece ad intraprendere passi concreti nella riduzione della produzione di petrolio e gas, mirando a sospendere le sovvenzioni e i finanziamenti pubblici e le fonti fossili, ma senza ancora avviare un percorso di stop definitivo.
  3. L'Italia invece, come Friend of BOGA, sta perseguendo una politica a sostegno di una transizione globale socialmente giusta ed equa per allineare la produzione di petrolio e gas agli obiettivi dell'Accordo di Parigi. Sta inoltre già aumentando i propri sforzi per lavorare insieme agli altri membri nel facilitare l'adozione di misure efficaci a tal fine, in linea con gli obiettivi nazionali di neutralità climatica.[12]

 

Un altro accordo siglato è stato quello della Glasgow Leaders' Declaration on Forest and Land Use, sottoscritta fra 134 paesi, che ha come scopo quello di rafforzare l'uso delle foreste di tutti i tipi, della biodiversità e di un uso sostenibile del suolo, puntando a fermare la deforestazione al 2030. A questo proposito ha sorpreso molto la firma del Brasile di Bolsonaro che, durante il suo mandato, si è costantemente reso protagonista di scelte scellerate, con particolare riferimento alle attività di disboscamento in Amazzonia. Questi dietrofront e la poca limpidezza che contraddistingue da sempre il Presidente brasiliano rendono tale adesione quantomai controversa, con una scelta che ha le sembianze di un vero e proprio greenwashing politico per provare a placare una parte di polemiche. Giusto per dare un'idea, lo scorso 14 febbraio, il Governo di Bolsonaro ha dato un chiaro segnale di non voler rinunciare allo sfruttamento del suo polmone verde: sono stati approvati due decreti per rafforzare l’attività mineraria nella regione amazzonica, ignorando i richiami della comunità internazionale.[13]

In generale, il multilateralismo e la frammentazione sul fronte degli impegni sono state delle chiare conseguenze della mancanza di quella visione comune di cui parlavamo in principio. Un esempio illustre di "visione comune" è rappresentato dal Global Coal to Clean Power Transition Statement sulla transizione dal carbone all'energia pulita. In particolare, i 47 paesi e gli altri soggetti firmatari, hanno riconosciuto che la produzione di energia da carbone è la principale causa dell'aumento della temperatura globale e, per questa ragione, si impegneranno esclusivamente nel produrre energia pulita, ad accelerare la transizione energetica e a tutelare i lavoratori e le comunità sociali.[14] Possiamo quindi asserire senza troppe difficoltà che quest'accordo multilaterale rappresenti appieno quello che in molti avrebbero voluto leggere all'interno del Glasgow Climate Pact, con una definitiva e chiara presa di posizione nei confronti del carbone e delle fonti fossili in generale.

Il Ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, presenzia alla Cop26 illustrando i contributi dell'Italia, tra cui l'adesione (parziale) alla BOGA. Foto del sito ufficiale del Ministero della Transizione Ecologica dal Comunicato Stampa
"Cop26: Cingolani, dal MiTE 4 milioni per rendere annuale la Youth4Climate". https://www.mite.gov.it/comunicati/cop26-cingolani-dal-mite-4-milioni-rendere-annuale-la-youth4climate

La questione Green Fund e i nuovi meccanismi flessibili

Vi sono poi due ulteriori punti critici da chiarire sulla COP26 e sul futuro del quadro giuridico internazionale in materia di cambiamenti climatici. Mai come questa volta, questo incontro ha colto pareri, presentazioni e interventi della società civile, in particolar modo di attivisti e attivisti provenienti dalle realtà più colpite dagli effetti dei cambiamenti climatici (come Vanessa Nakate). L'accordo finale non ha accontentato praticamente alcuna di queste tali suggestioni, neppure quelle riguardanti una Loss and Damage Facility per aiutare tutte le nazioni che vedranno effetti irreversibili nel proprio ecosistema. Il documento finale si limita a ribadire gli impegni per aumentare significativamente il sostegno finanziario attraverso il cosiddetto Green Fund da 100 miliardi di dollari all'anno in aiuti per la decarbonizzazione e l'adattamento dei paesi in via di sviluppo. Le nazioni più ricche e sviluppate sono state invitate a raddoppiare i propri stanziamenti, ma senza fissare una data vera e propria come deadline. Peraltro, questo strumento non è ancora in funzione, seppur sia stato messo nero su bianco anche dall'Accordo di Parigi. In compenso, il documento finale ha invitato le banche multilaterali di sviluppo, le istituzioni finanziarie e il settore privato a migliorare la mobilitazione finanziaria proprio per fornire risorse nel merito dei piani climatici dedicati. La COP quindi ha incoraggiato l'adozione di strumenti privati che consentano di reperire risorse sul mercato bancario o dei capitali di debito, da impiegare per il finanziamento di progetti verdi come i Green Loan e i Green Bond. Tre mesi dopo il meeting, stando alle stime del Climate Bonds Initiative, il valore complessivo dei Bond verdi presenti sul mercato è cresciuto esponenzialmente e potrebbe presto arrivare a 1 trilione di dollari.[15] Senza dubbio, la COP26 ha ulteriormente "elevato" il ruolo del settore privato all'interno del Climate Change Regime.

L'altro punto critico è quello della finanza climatica, che in passato rivitalizzò la partecipazione al Protocollo di Kyoto. Questa, sulla carta, avrebbe potuto permettere un più facile scambio di informazioni, tecnologie e strumenti per l'adattamento, ma per ora si sta limitando ad applicare (per molti aspetti) quanto già visto con il precedente strumento giuridico vincolante. Le modifiche relative all'Articolo 6 hanno rappresentato uno dei punti più controversi e difficili, riuscendo a completare il cosiddetto Paris Rulebook (assieme alle nuove modalità di reporting per la trasparenza). Si sono quindi strutturati meccanismi volti a creare un nuovo mercato del carbonio, con un ritorno dell'inflazionato sistema di "scambio delle emissioni" tra i paesi: chi inquina meno potrà vendere "quote di risparmio" a chi non si è adeguato agli standard, o a chi ha bisogno di aiuto per raggiungerli (il cosiddetto emission trading system). Proprio per questo, sono state adottate tre importanti decisioni che hanno dato attuazione rispettivamente ai commi 2, 4 e 8 di suddetto articolo, il quale abbozzava tre distinti i meccanismi di scambio di crediti. Oltre al già citato sistema tradizionale di scambio di crediti (Internationally Transferred Mitigation Outcomes), il secondo ha creato un nuovo mercato internazionale del carbonio. Questo sarà governato dalle Nazioni Unite stesse, per lo scambio di quote di riduzione di emissioni create ovunque nel mondo sia dal settore pubblico che da quello privato, e prenderà il nome di Sustainable Development Mechanism.[16] Il terzo meccanismo cercherà invece di proporre una vera e propria cooperazione climatica tra i Paesi in contesti non commerciali (come ad esempio quelli degli aiuti allo sviluppo) basati su progetti finalizzati all'abbattimento delle emissioni. [17] 

Le “lacrime amare” del presidente della COP26, Alok Sharma, per i risultati a ribasso raggiunti dal summit scozzese. Foto estratta dal discorso finale su BBCNews.com “COP26: Alok Sharma fights back tears as Glasgow Climate Pact agreed” https://www.bbc.com/news/av/world-59276651.

Conclusioni

Come giudicare quindi questa COP26? Se dovessimo guardare solo all'obiettivo di costruzione di un'azione globale capace di contenere l'aumento della temperatura entro 1.5°C, il fallimento risulterebbe evidente. Alcuni attori si sono mostrati all'altezza delle aspettative, mentre altri hanno declinato le proprie responsabilità. Un ultimo esempio a riguardo è quello nel merito dell'azzeramento delle emissioni nette di gas serra: l'UE e gli Stati Uniti hanno fissato tale traguardo al 2050 (in linea con quanto suggerito dallo stesso IPCC), mentre la Cina al 2060. L'India ha costantemente ribadito la propria "minore responsabilità" nella nascita del problema, e per questo ha asserito di poter centrare tale obiettivo entro il 2070. I piani sottoscritti per il 2030, secondo il Climate Action Tracker, condurranno per ora ad un aumento della temperatura di almeno 2.4°C entro fine secolo. L'unica speranza potrebbe arrivare dall'innovazione e dalla diffusione di mezzi tecnologici più che dal meccanismo di scambio dei crediti, che in passato ha spesso dato la possibilità a molte nazioni di "sgarrare" in libertà, comprando poi le quote di altri paesi più puntuali, responsabili e coraggiosi. L'adozione di strumenti di finanza sostenibile per tutti i paesi è sicuramente l'altra grande risorsa che, almeno sotto un profilo nazionale, ha fallito a Glasgow specie nel campo della cosiddetta Adaptation Finance per i paesi in via di sviluppo (aspetto per altro ribadito dalla stessa presidenza britannica del meeting, tra le lacrime del Presidente Sharma). Alla finanza privata invece sarà senz'altro riservato un ruolo di primo livello, specie all'interno degli accordi multilaterali-settoriali. In generale, il ruolo delle imprese, delle banche e del lavoro è quindi diventato fondamentale per le stesse Nazioni Unite, che sembrano contare molto su questi tipi di player per sviluppare un'azione globale di livello. La speranza è che si riesca anche a costruire una rete cooperativa tale da contribuire allo sviluppo di sistemi e tecnologie di adattamento e mitigazione di livello per tutte le nazioni, e non solo per quelle che hanno i capitali per permetterselo. Abbiamo assistito quindi alla creazione di tanti puzzle di cui, per adesso, il risultato appare ancora confuso e disordinato. Eppure i tasselli ci sarebbero tutti...

[1] ‘Full text of Xi Jinping's statement at COP26 climate summit’ Nikkei Asia (2 Novembre 2 2021) https://asia.nikkei.com/Spotlight/Environment/Climate-Change/COP26/Full-text-of-Xi-Jinping-s-statement-at-COP26-climate-summit.

[2] 6 takeaways from the U.N. climate conference’ The New York Times (11 Novembre 2011) https://www.nytimes.com/2021/11/13/climate/cop26-climate-summit-takeaways.html.

[3] Decision -/CP.26 Glasgow Climate Pact IV Mitigation 16 (Unedited version 13 Nov 2021) disponibile sul sito ufficiale dell’UNFCCC. “(…) Recognizes that the impacts of climate change will be much lower at the temperature increase of 1.5 °C compared with 2 °C, and resolves to pursue efforts to limit the temperature increase to 1.5 °C”.

[4] Accordo di Parigi, Articolo 2.1.

[5] V Masson-Delmotte P Zhai, H O Pörtner D Roberts J Skea P R Shukla A Pirani W Moufouma-Okia C Péan, R Pidcock, S Connors, J B R Matthews Y Chen X Zhou M I Gomis E Lonnoy T Maycock M Tignor T Waterfield, ‘Riscaldamento globale di 1,5°C - Un rapporto speciale dell’IPCC sugli impatti del riscaldamento globale di 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali e sugli andamenti correlati delle emissioni globali di gas serra, nel contesto di un rafforzamento della risposta globale alla minaccia dei cambiamenti climatici, dello sviluppo sostenibile e degli sforzi per debellare la povertà’ (2018 Copyright Intergovernmental Panel on Climate Change edizione italiana a cura di Società Italiana per le Scienze del Clima) https://www.sisclima.it/wp-content/uploads/2019/07/SR15_SPM_ita.pdf.

[6] Decision -/CP.26 Glasgow Climate Pact IV Mitigation 20 (Unedited version 13 Nov 2021) traduzione autonoma.

[7] B Plumer L Friedman ‘China and the United States Join in Seeking Emissions Cuts’ The New York Times (11 novembre 2021) https://www.nytimes.com/2021/11/10/climate/climate-cop26-glasgow.html.

[8] A riguardo si veda Decision -/CMA.3 Rules, modalities and procedures for the mechanism established by Article 6, paragraph 4, of the Paris Agreement (Unedited version 13 Nov 2021).

[9] Accordo di Parigi Articolo 2 “1. Il presente Accordo, nel contribuire all’attuazione della Convenzione, inclusi i suoi obiettivi, mira a rafforzare la risposta globale alla minaccia dei cambiamenti climatici, nel contesto dello sviluppo sostenibile e degli sforzi volti a sradicare la povertà, anche tramite:
(a) il mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto di 2 °C rispetto ai livelli preindustriali, e proseguire l’azione volta a limitare l’aumento di temperatura a 1,5° C rispetto ai livelli pre-industriali, riconoscendo che ciò potrebbe ridurre in modo significativo i rischi e gli effetti dei cambiamenti climatici”.

[10] M Crippa D Guizzardi M Muntean E Schaaf E Solazzo F Monforti-Ferrario J Olivier E Vignati Elisabetta Emissions Database for Global Atmospheric Research Emissions Database for Global Atmospheric Research, European Commission Joint Research Centre Work (Publications Office of the European Union, Luxembourg, Luxembourg version v5.0_FT_2019 fossil CO2 time-series) https://data.jrc.ec.europa.eu/dataset/f806b247-2f28-4baa-8416-f8386a711ebf.

[11] Beyond Oil and Gas Alliance official website https://beyondoilandgasalliance.com/who-we-are/.

[12] Ibidem.

[13] D Biller 'Brazil's Bolsonaro issues decrees to boost mining of Amazon' ABCNews (14/02/22) https://abcnews.go.com/International/wireStory/brazils-bolsonaro-issues-decrees-boost-mining-amazon-82880669

[14] Global Coal to Clean Power Transition Statement UK COP-26 Official Website https://ukcop26.org/global-coal-to-clean-power-transition-statement/.

[15] L Jones ‘$500bn Green Issuance 2021: social and sustainable acceleration: Annual green $1tn in sight: Market expansion forecasts for 2022 and 2025’ Initiative Climate Bonds Website 31 gennaio 2022 (ultima visita 10 febbraio 2022) https://www.climatebonds.net/2022/01/500bn-green-issuance-2021-social-and-sustainable-acceleration-annual-green-1tn-sight-market.

[16] Decision -/CMA.3 Rules, modalities and procedures for the mechanism established by Article 6, paragraph 4, of the Paris Agreement (Unedited version 13 Nov 2021), 5 “The Conference of the Parties serving as the meeting of the Parties to the Paris Agreement, Recalling the Paris Agreement (…) (c) Review the sustainable development tool in use for the clean development mechanism and other tools and safeguard systems in use in existing market-based mechanisms to promote sustainable development with a view to developing similar tools for the mechanism by the end of 2023”. https://unfccc.int/sites/default/files/resource/cma3_auv_12b_PA_6.4.pdf.

[17] Decision -/CMA.3 Work programme under the framework for non-market approaches referred to in Article 6, paragraph 8, of the Paris Agreement, Advance unedited version, https://unfccc.int/sites/default/files/resource/cma3_auv_12c_PA_6.8.pdf.

[18] G Crescente ‘Il risultato più importante della conferenza di Glasgow’ Internazionale 15 novembre 2021 https://www.internazionale.it/opinione/gabriele-crescente/2021/11/15/glasgow-cop26.

[19] COP-26: The Negotiation Explained Uk COP-26 Official Website p.7 https://ukcop26.org/wp-content/uploads/2021/11/COP26-Negotiations-Explained.pdf. “The Climate Finance Delivery Plan, published in October 2021 by the UK COP26 Presidency, provided clarity on when and how developed countries will meet the $100 billion climate finance goal. This gave some confidence to developing countries that the $100bn goal will be met in 2023 - however, donors were not able to produce clear data on how adaptation finance would be scaled up, and concerns regarding adaptation finance remained clear in the lead up to COP26.”

Autore

Giovanni Maria Dettori

Pubblicato il 24 febbraio 2022